È questa la definizione che l’FBI americana ha stabilito nel 2005 durante un simposio organizzato dal Centro nazionale per l’analisi del crimine violento.
Il fenomeno si perde nella storia. Da Agrippina, madre di Nerone, e Lucusta, avvelenatrici seriali documentate già nel I secolo d.C., si passa attraverso i secoli a Gilles de Rais, il mitico “Barbablù”, accusato di avere ucciso oltre 100 bambini nella Francia del XV secolo, per arrivare, sul finire dell‘800, a Jack lo squartatore, forse il più emblematico tra quelli dell’era contemporanea.
Alcuni assassini sono ricordati per i loro coloriti soprannomi: “Lo strangolatore di Boston”, “Il vampiro di Düsseldorf”, “Il Mostro di Firenze”, “Il cannibale di Milwaukee”, “Il killer clown” e così via. Altri sono passati nel dimenticatoio o quasi inosservati, non perché meno efferati, meno prolifici, o di più antica memoria: basti pensare ai 215 morti mietuti dal medico inglese Harold Shipman nei primi anni 2000 o gli oltre 170 degli anni ’90 del colombiano Luis Alfredo Garavito Cubillos.
La mostra a essi dedicata analizza svariati casi e include reperti che li illustrano, dalle impronte palmari del cannibale Jeffrey Dahmer, al calco dentale di Ted Bundy, alle lettere dell’enigmatico Zodiac, agli inquietanti dipinti originali del “killer-clown” John Wayne Gacy.